«Riusciremo a dimenticare tutto questo senza dimenticare mai?»
E’ con questa frase che si chiude il libro di Stefano Tassinari. Un romanzo che, nello stile del Tas, serve a parlare di lotte e sogni, sogni che si infrangono contro una cortina di poliziotti in calde giornate estive, durante il G8 di Genova del luglio 2001.
“I segni sulla pelle” sono quelli con cui si ritroveranno a fare i conti centinaia e centinaia di manifestanti che, in quelle giornate, furono vittima di una repressione brutale e organizzata.
Rileggere questo libro per chi, come me, ha deciso di impegnarsi seriamente proprio dopo i fatti di quei giorni riporta alla mente la rabbia, la rabbia di chi non crede sia «civile torturare decine di persone nel chiuso di una caserma, massacrarle all’interno di una scuola, sparare a un ragazzo perché ha in mano un estintore, prendere a calci in faccia uno studente di quindici anni seduto per terra, a mani alzate, davanti a un plotone di poliziotti».
Rileggerlo – a così tanti anni di distanza da quei fatti – è, se possibile, ancora più utile. Serve proprio a dimenticare senza mai dimenticare in un Paese, il nostro, che già in quei giorni ha rimosso. Ha rimosso ciò che avveniva nel momento stesso in cui tutto accadeva, tra mille giustificazioni costruite ad arte. Brutta cosa un mondo dove alla gente non resta neanche la capacità di indignarsi. Fortuna sono esistiti intellettuali e uomini coraggiosi come Stefano Tassinari a riempire quei vuoti e a diradare quella folta foschia che avvolge i nostri ricordi.
«Fuori di qui, riflette Alessandro, la maggioranza degli italiani pensa alle vacanze, convinta di vivere in un paese democratico. Non sarà facile farle cambiare idea. Non basteranno i segni sulla pelle, né le dichiarazioni pubbliche, né le migliaia di immagini scattate. No, non basteranno certo a separare la verità dalla finzione, il dissenso naturale dal consenso costruito, il disordine emotivo dall’ordine nascosto delle cose».
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